1984 di George Orwell è senza dubbio uno dei libri che ha cambiato il mio modo di vedere le cose. Incontrarlo un anno fa circa, è stato un piacevole caso, che ha acceso una miriade di lampadine sul sentiero dei complessi rapporti umani. Mi ha illuminato sui meccanismi e le logiche dei partiti, delle aziende (di quella in cui sono, in primis...), di qualsiasi comunità insomma.
La trama è semplice: nel 1984 il mondo è diviso in tre superstati, governati da supergoverni, e le persone comuni vivono immerse nell'ignoranza, supercontrollate, e accettano qualsiasi verità propinata dall'alto. Chi si oppone sparisce. Rimane un uomo, il cosiddetto ultimo uomo, che con amore e orgoglio cercherà di mantenere la sua libertà di pensiero.
Si pensi che in un libro solo, Orwell ha identificato due pilastri della comunicazione, secondo me cogliendone l'essenza come altri pensatori prima di lui, ma cristallizzandoli solo come un pittore impressionista. Questi pilastri sono il Grande Fratello e il bispensiero (o bipensiero), concetti talmente palesi e dirompenti da divenire parte della comunicazione moderna e chiave di lettura di qualsiasi forma di aggregazione e comando.
Orwell ci spiegava 60 anni fa che eravamo parte e lo saremmo divenuti sempre più di sistema, con le sue gerarchie, le ideologie, le dottrine, le leggi e le pene, ma soprattutto con un vertice capeggiato da un onnipotente Grande Capo, la cui onniscienza si alimenta con un controllo capillare di tutta l'umanità, soprattutto di quella che aspira all'indipendenza di pensiero. Ecco che ogni mezzo di comunicazione è strumento di propaganda ma soprattutto è anche mezzo di captazione delle espressioni del popolo; una tv era non solo strumento da "guardare", ma soprattutto una telecamera per le sentinelle del partito, che vegliavano sull'utente saggiandone assenso e dedizione ai messaggi istituzionali.
Volendo essere paranoico, potrei pensare che due ore fa un satellite ha segnalato alla "guardia nazionale", che sono normalmente rientrato dal mio giovedi calcistico coi colleghi, mentre un server intelligente sta notificando al "database degli internauti", che sto scrivendo un post innocuo e non sto leggendo di come si porta dell'esplosivo in aereo. Nel frattempo, la "segreteria catodica", annota che manco stasera ha ricevuto segnali di accensione e zapping dalla tv in soggiorno.
Ognuno di noi vede il sistema in cui è immerso (la ditta, lo Stato, la parrocchia, la squadra, il gruppo) come qualcosa a cui appartiene ma che vorrebbe anche plasmare su dì sè, e quando non è possibile, tende a incanalare la frustrazione, o, all'inverso, l'ammirazione, verso il capo di tutti, colui che incarna il sistema (il leader, l'allenatore, il premier, il prete): in pratica cerchiamo un Grande Fratello da guardare dal basso, ma che in realtà non ha altro potere se non quello che noi gli concediamo. Il Grande Fratello è un sovrano silenzioso che si assicura il governo promuovendo il bene di Tutti, ma costantemente plasma la percezione dei Tutti allineandone il bene percepito a quello che lui è in grado di garantire. Il nostro Stato, ad esempio, ci fa credere che non ci serve la banda larga per Internet, forse perché non è in grado o non gli interessa garantirla. Ci fa credere che vedremo i migliori film solo col digitale terrestre, ci impone di acquistarlo, e poi dovremo fare non so quante tessere premiuskai per godere di un file che internet ci garantirebbe in 45 minuti di download più o meno legalizzato.
Il bispensiero secondo me è la chicca. Come concetto, è un pelo complesso, ma davvero efficace. Non saprei spiegarlo meglio del wikipedia (
http://it.wikipedia.org/wiki/Bispensiero).
In pratica, esso è la separazione del proprio pensiero da quello del pensiero della comunità. Solo che il pensiero che si dichiara è e dev'essere sempre e comunque allineato a quello del sistema a cui si appartiene. Si pensi alla politica. Un leader di partito può dire tutto e il contrario di tutto su un tema nella stessa settimana. Secondo il bispensiero, nessuno dei suoi affiliati smentirà il capo riconoscendone la contraddizione. Anzi, appoggerà sempre l'ultima tesi sostenuta dicendo che c'è stata sempre e solo quella; casomai ve ne fossero di precedenti, allora erano travisate.
Vi ricordate lo spot del gioco "saltinmente"? Beh, si chiedeva il nome di un animale domestico, con la R. Il proprietario del gioco, un tipo che o vince o lascia il tavolo, dice "rinoceronte"! Uno dei partecipanti dapprima si oppone (ma va?!), ma poi, pur che il proprietario non se ne vada, si allinea al pensiero degli altri amici e accetta la risposta. Fantastico.
Questa separazione è conscia all'inizio, automatica poi, come quando si inizia a praticare nuoto: all'inizio, si deve reimparare a respirare. Poi, con la pratica, è quasi normale adattare il proprio corpo alla fase dentro e fuori vasca. Così, è normale creare un'architettura secondo cui il rinoceronte sia da sempre stato classificato come domestico, ed esista uno stuolo di personaggi famosi che ne possegga almeno una coppia nella propria piscina.
Nella parte finale del racconto, tristissima, si passa dalla speranza di libertà alla solitudine dell'anichilimento fisico e mentale. Il bello di questo libro, è che anche nel dramma conclusivo, si trae forza e ansia di reagire. Ma soprattutto, ci si regala una profonda lucidità del quotidiano.
Perdendo la libertà del nostro eroe, ci rendiamo conto di quanto preziosa sia quella che possediamo, e che dobbiamo trattenere con tutte le nostre energie. Non in tutte le società moderne sono ovvi e accessibili, il poter leggere, parlare, scrivere di tutto, o anche solo condividere con voi queste righe.
Davvero, ve lo consiglio!